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Il Rating ESG tra obiettivi, divergenze e convenienze.

Il Rating ESG tra obiettivi, divergenze e convenienze.

Sono ormai moltissimi anni che si parla di crescita sostenibile, sostenibilità ambientale in primo luogo. Si iniziò a parlare di sostenibilità ambientale nel 1972 durante la prima conferenza ONU sull’ambiente. Abbiamo dovuto aspettare 15 anni, però, per codificare il concetto di crescita sostenibile, nel rapporto Brundtland pubblicato nel 1987. In questo atto viene qualificata come sostenibile, la crescita in grado di soddisfare i bisogni attuali senza pregiudicare la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

Nel corso del tempo, il concetto ha subito un’evoluzione nel senso dell’ampiezza dei contenuti, passando da una visione prettamente ambientale all’inclusione di elementi relativi alla sostenibilità sociale, etica ed economica.

Il punto di arrivo di questo percorso, durato 50 anni, è la definizione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, delineati nel 2015, dalla Agenda ONU 2030.

Come si può osservare dalla grafica soprastante, non è più esclusivamente l’ambiente il centro dell’interesse della sostenibilità, ma tutta una serie di obiettivi trasversali che partono dai temi ambientali fino alla riduzione della povertà, alla dignità del lavoro alla riduzione delle disuguaglianze al senso di giustizia e delle istituzioni, alla salute, alla riduzione della fame nel mondo, all’istruzione. In sostanza, si è partiti dai temi della sostenibilità ambientale, nel 1972, per arrivare all’inclusione della sostenibilità sociale, etica ed economica.

Ma, ci chiediamo, tutto questo incide nella vita delle imprese? E, se dobbiamo rispondere positivamente, come e in che misura incide?

Facciamo un passo indietro al 2018. Nel mese di marzo di quell’anno la Commissione Europea ha pubblicato un piano di azione per la finanza sostenibile, facendo propri gli orientamenti dell’Agenda 2030 dell’ONU, per delineare un sistema di misure orientate alla realizzazione di un sistema finanziario idoneo a promuovere uno sviluppo effettivamente sostenibile, dal punto di vista economico, sociale ed ambientale.

I principi cardine di questo sistema sono:

  • Orientare i capitali verso investimenti sostenibili per realizzare una crescita inclusiva.
  • Gestire i rischi finanziari derivanti dai cambiamenti climatici, dall’esaurimento delle risorse, dal degrado ambientale, e dalle problematiche sociali.
  • Promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine nelle attività economiche e finanziarie.

I citati obiettivi si esplicitano in una serie di azioni previste dalle autorità, che possiamo elencare di seguito:

  • Introduzione di una tassonomia UE per la finanza sostenibile. Cioè un sistema condiviso di classificazione e definizione dei prodotti e servizi considerati sostenibili.
  • Creazione di standard e certificazioni di qualità UE per i green bonds (obbligazioni verdi).
  • Aumento degli investimenti in infrastrutture sostenibili.
  • Modifica delle direttive MIFID II e IDD, nonché delle linee guida ESMA (sulla valutazione e adeguatezza dei prodotti finanziari) nel segno della sostenibilità.
  • Miglioramento della trasparenza nella costruzione di benchmark (prodotti leader di riferimento per ogni categoria) di sostenibilità.
  • Incentivo all’adozione dei criteri ESG da parte delle società di raccolta di capitale e di ricerca di mercato.
  • Proposta di una legge che includa i criteri di sostenibilità nella definizione di “dovere fiduciario”, al fine di vincolare gli investitori ad agire nel massimo interesse dei beneficiari.
  • Possibilità di introdurre delle riduzioni dei requisiti patrimoniali minimi sugli investimenti sostenibili.
  • Migliorare qualità e trasparenza della rendicontazione extra-finanziaria delle imprese, tenendo conto delle raccomandazioni della Task Force on climate-related Financial Disclosure del Financial Stability Board.
  • Integrare i criteri ESG e l’approccio di lungo periodo nelle decisioni dei C.d.A. aziendali.

Per raggiungere i citati 3 obiettivi, la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e l’Autorità Bancaria Europea, hanno emanato una serie di norme, contenute nel regolamento UE 852/2020, nel regolamento UE 2088/2019 (SFDR), nella direttiva 2014/95/UE (NFRD) e nelle linee guida P3 ESG ITS; cui rimandiamo per eventuali approfondimenti che sarebbe troppo dispersivo affrontare in questo articolo.

Senza entrare troppo nel dettaglio, per capire quanto diremo nel prosieguo della trattazione, è necessario almeno sintetizzare il contenuto dei citati regolamenti, direttive e linee guida.

Come si evince dalla grafica, le norme impattano sia sulle imprese sia sugli attori del mercato dei capitali, in particolar modo gli istituti di credito.

Gli istituti finanziari sono interessati, direttamente, da tutte le norme citate. A questi attori si richiede di fornire informazioni sull’esposizione ai rischi ambientali e ad integrare, nei sistemi di valutazione del merito creditizio, oltre ai tradizionali KPI economici e finanziari, anche parametri di tipo ESG. A fornire indicazioni e misurazioni sui green asset della banca, a misurare il carbon footprint dei propri portafogli. Nell’ambito delle attività del risparmio gestito fornire notizie sui rischi di ESG e come questi sono valutati nell’ambito delle decisioni di investimento e se i singoli prodotti possono essere considerati sostenibili.

Non meno rilevanti sono gli effetti anche per le imprese, le quali si devono attrezzare per fornire maggiori notizie per l’accesso al credito, non potendosi limitare ai soli dati di bilancio, visto che i sistemi di valutazione del merito creditizio, i cosiddetti rating, saranno adeguati per poter valutare le aziende anche dal punto di vista dei parametri ESG. Ne deriva che, indirettamente, le imprese più sensibili ed organizzate per rispettare i parametri ESG saranno maggiormente avvantaggiate per quanto riguarda l’accesso al credito; e, a cascata, saranno più appetibili per quanto riguarda operazioni di venture capital, private equity e M&A.

A parte le imprese obbligate, (società quotate e di interesse pubblico), riteniamo che anche le piccole e medie imprese, financo le microimprese, potranno trarre vantaggi e opportunità adeguando le loro strategie ai temi relativi a:

  • Impatto ambientale;
  • Problematiche di tipo sociale e riguardanti i dipendenti;
  • Rispetto dei diritti umani;
  • Corruzione e riciclaggio.

Il Mondo, ormai, va in quella direzione, spinto dalle norme nazionali e sovranazionali, dai movimenti ambientalisti e, principalmente, da una nuova consapevolezza dei mercati verso queste tematiche. Oggi più che mai sono i mercati che determinano il successo e il profitto di una azienda; proprio i mercati valutano se la redditività è affidabile e continua nel tempo e le imprese non possono non tenerne conto.

E quanto sopra affermato, ormai è assodato; tanto è vero che anche le grandi istituzioni finanziarie, come Blackrock (la più grande società di investimenti mobiliari del pianeta, con un patrimonio amministrato superiore ai 10.000 miliardi di dollari), sono ormai da tempo indirizzate ad investire su imprese sensibili a questi temi. Non a caso, il Presidente e CEO di Blackrock, Larry Fink, nella sua annuale lettera ai CEO delle aziende in cui il fondo investe, mette al centro proprio la sostenibilità: “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ecologisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto fiduciario verso i nostri clienti. La convinzione di BlackRock è che le imprese ottengano risultati migliori quando sono consapevoli del loro ruolo all’interno della società e quando agiscono nell’interesse dei loro dipendenti, clienti, comunità e azionisti” (Lettera di Larry Fink ai CEO, 2022).

Identificato il perimetro, vediamo ora come funzionano i Rating ESG.

In buona sostanza, un Rating ESG misura le prestazioni delle aziende dal punto di vista della sensibilità ai temi (E) Enviromental, (S) Social e (G) Governance. Cioè sostenibilità ambientale, sociale e di gestione aziendale. Non sostituisce il rating tradizionale, emesso dalle agenzie di rating come Moody’s o Standard & Poor’s o quelli utilizzati dalle banche per misurare l’affidabilità delle aziende, ma si affianca per potenziare le informazioni disponibili allo scopo di rafforzare le valutazioni e consentire scelte più oculate.

Vediamo su quali direttrici si deve muovere un’azienda o un’entità che intende certificarsi con un Rating ESG.

Dal punto di vista Ambientale (E) si devono minimizzare o eliminare i rischi legati ai cambiamenti climatici, puntando alla riduzione delle emissioni di CO2, agli sprechi di risorse naturali e del consumo di suolo e deforestazione. Aumentare l’efficienza energetica e l’incentivare l’utilizzo delle risorse naturali, per mezzo di azioni dirette alla preservazione della disponibilità delle risorse naturali e dei loro livelli qualitativi. Ultimo, ma non in ordine di importanza, migliorare la gestione di rifiuti con politiche atte a massimizzare il riciclo.

La sostenibilità Sociale (S) include le azioni per il miglioramento dell’ambiente lavorativo, dirette a tutti i livelli relazionali all’interno e all’esterno del sistema aziendale. In questo ambito la sostenibilità viene giudicata relativamente alle condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro, rispetto dei diritti umani, al corretto trattamento delle disparità di genere, di età e di abilità. Da non sottovalutare il welfare e la formazione della forza lavoro.

La sostenibilità relativa alla gestione aziendale (G), si basa sull’etica e la trasparenza delle organizzazioni, sulla presenza di piani e obiettivi per la sostenibilità, sull’osservanza di una policy etica per le risorse, sulla riduzione delle disuguaglianze, sulla valorizzazione della cultura e dell’istruzione e sul rispetto dei principi universali dell’uomo e dell’ambiente, sulla protezione dei dati personali, sull’integrità del management, sull’adozione di politiche fiscali anti-evasive e anti-elusive.

Dopo aver identificato le metriche ESG vediamo come, in realtà, si misurano le performance delle aziende o delle altre entità, in termini ESG.

I rating tradizionali misurano l’affidabilità di un’impresa, allo stesso modo i Rating ESG misurano il grado di sostenibilità dell’impresa, nelle tre dimensioni ambientali, sociali e di governance. Tuttavia, i modelli ESG sono sostanzialmente diversi dai primi per due motivi fondamentali.

  • Nel caso dei rating creditizi, abbiamo una grandezza misurabile quantitativamente, la PD (Probabilità di Default), entro un orizzonte temporale definito. Invece, per i Rating ESG le metriche osservabili sono molteplici e di natura quantitativa e qualitativa.
  • Per i rating creditizi esiste una regolamentazione specifica e un’autorità (in Europa l’ESMA) che autorizza le agenzie di rating a poter emettere valutazioni; mentre per i modelli ESG non esiste una regolamentazione specifica e, in attesa di essa, le principali agenzie di rating hanno adottato scelte diverse, riconducibili principalmente a due metodologie:
  • una metodologia di tipo quantitativo, che costruisce il giudizio in base alle prestazioni dell’impresa, misurate con i dati pubblicamente disponibili redatti secondo gli standard internazionali;
  • una metodologia di tipo qualitativo, che prevede la somministrazione di un questionario all’impresa oggetto della valutazione, sulle tre dimensioni ESG; Raccolti in questo modo, i dati vengono successivamente valutati secondo approcci differenziati.

Queste differenze sono di non poco conto, perché possono portare a valutazioni di giudizi sostanzialmente diverse tra un rating rilasciato dalla agenzia X rispetto ad un rating rilasciato dall’agenzia Y. Una recente ricerca del MIT in collaborazione con l’Università di Zurigo[1], ha messo in luce notevoli differenze nei giudizi ESG rilasciati da agenzie di rating diverse. I ricercatori hanno valutato il Rating ESG rilasciato da 6 provider di rating (nello specifico: KLD, Sustainalytics, Moody’s ESG, S&P Global, Refinitiv, e MSCI) e hanno sperimentato che tra di essi vi è una correlazione del 54%, quando per i rating di tipo creditizio la correlazione, per fare un esempio, tra Standard & Poor’s e Moody’s è pari al 99%.

Secondo i ricercatori del MIT e dell’Università di Zurigo, le divergenze dipendono sicuramente dai diversi pesi ponderali attribuiti ai parametri valutativi, ad esempio alcune agenzie assegnano una importanza maggiore ai diritti umani rispetto al lobbying. Ma le differenze potrebbero essere dovute anche a diversi metodi di misurazione. Ad esempio, un’agenzia potrebbe valutare le politiche del lavoro dell’azienda sulla base del turnover della forza lavoro, mentre per un’altra conta il numero di vertenze mosse contro l’azienda; pertanto, anche se entrambe le misurazioni catturano aspetti delle pratiche lavorative di un’azienda, è probabile che conducano a diverse valutazioni.

L’importanza della citata ricerca è stata fondamentale per far prendere coscienza, alle autorità, della necessità di una regolamentazione che fissi dei principi uguali per tutti, in maniera tale da garantire una uniformità di giudizio tra le diverse agenzie.

Quindi, nell’attesa della auspicata regolamentazione, sottoporsi al giudizio secondo i parametri ESG è superfluo o, addirittura, inutile? A mio giudizio, la risposta deve essere negativa; perché l’impresa ottenendo un Rating ESG positivo ne avrebbe diversi vantaggi:

  • Riduzione dei costi finanziari. Gli istituti di credito concedono delle premialità sui costi per interessi alle imprese con buon giudizio ESG.
  • Facilitazione nell’ottenimento di capitale di credito o di equity. Sia le banche che gli investitori istituzionali hanno sperimentato che le imprese che si preoccupano di avere un buon giudizio di sostenibilità sono anche più solide dal punto di vista economico/finanziario.
  • Accrescimento positivo dell’immagine e della reputazione nei confronti di clienti, fornitori e altri attori del mercato.
  • Incremento delle opportunità di investimento.
  • Maggiore apprezzamento nelle operazioni di M&A.
  • Soddisfacendo le richieste dei consumatori più sensibili ai temi della sostenibilità si accresce il vantaggio competitivo.

In definitiva, un’impresa sensibile alle tematiche ESG è un’impresa destinata a durare nel tempo, e a generare profitti nel lungo periodo, perché crea valore per tutti gli stakeholder, ossia per i dipendenti, i clienti, i fornitori e per la società in generale, incluso l’ambiente, non solo per i propri azionisti.

Dott. Giovanni Carlo Coppola

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[1] Aggregate Confusion: The Divergence of ESG Ratings – Florian Berg, Julian F. Koelbel, Roberto Rigobon – MIT Sloan, University of Zurich

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