Le aziende europee che operano in Italia possono inviare informazioni commerciali via email anche senza aver richiesto il consenso.
Le fonti normative cui attingere a livello nazionale e soprattutto europeo, quando parliamo di email marketing sono molteplici. Innanzitutto, come noto, il Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali, comunemente noto come GDPR (Reg. 2016/679) si occupa di definire le regole generali che devono essere rispettate da chiunque si accinga a trattare dati personali, definendo le basi giuridiche o condizioni di liceità dei trattamenti. Più nello specifico, per quel che riguarda le informazioni commerciali, a delimitare il perimetro di liceità ci pensa l’articolo 13 della direttiva e-privacy (2002/58/CE) che è stata recepita in Italia – per quello che in questa sede interessa – attraverso l’introduzione dell’articolo 130 al d.lgs. n. 196/03, anche noto come codice della privacy; inoltre, le linee guida del Garante Italiano, del 2013 “linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam chiudono il cerchio”. Come accennato, gli articoli citati richiedono il consenso degli interessati per l’invio di email marketing (compresi, ad esempio, gli indirizzi e-mail, particolarmente rilevanti in relazione al marketing diretto in quanto le e-mail risultano ad oggi uno dei canali principali di realizzazione di questo tipo di promozione).
Risulta dunque chiarissimo il riferimento al divieto di email marketing senza consenso, che nella normativa è addirittura esplicito. Si tratta di un divieto assoluto?
Una potenziale apertura verso basi giuridiche diverse dal consenso la troviamo all’interno del GDPR; in particolare, il considerando 47, ultimo periodo afferma che può essere considerato legittimo interesse del titolare del trattamento trattare i dati personali per finalità di marketing.
Tuttavia, questa previsione si scontra oggi con la direttiva eprivacy che prevale rispetto allo stesso GDPR.L’articolo 95, infatti, chiarisce che quando si tratta di comunicazioni elettroniche, la direttiva si considera lex specialis.
Questo sbilanciamento normativo è frutto della successione di leggi nel tempo che non è avvenuta contestualmente così come invece si era auspicato; e dunque ci troviamo ad applicare una normativa del 2002 (emanata successivamente all’entrata in vigore della direttiva sulla protezione dei dati personali 95/46/CE e legata a questa) che prevale su quella più recente; almeno fino a quando il regolamento e privacy verrà alla luce.
In questa fase normativa, pertanto, abolita l’idea che il marketing diretto possa basarsi sul legittimo interesse, dobbiamo chiarire le casistiche entro le quali è consentito l’esercizio del marketing diretto, in assenza di previo esplicito consenso, in particolare via e-mail.
L’eccezione alla regola è sancita sempre all’interno dei citati articoli 13 par. 2 (direttiva e privacy) e, in Italia, dall’art. 130 c.4 d.lgs. 196/03
L’art. 130 comma 4 del Codice della Privacy consente, infatti, di eseguire e-mail marketing senza consenso per la promozione di servizi analoghi a quelli già acquistati: si tratta di soft spam,.
Qual è il rapporto tra l’email marketing ed il soft spam e perché il primo può essere attuato esclusivamente previo consenso mentre il secondo prescinde da ciò?
La risposta risiede nella circostanza che il softspam presuppone la presenza di un rapporto contrattuale già in essere tra l’interessato ed il titolare del trattamento, tale da far ragionevolmente considerare che l’acquirente di un prodotto o servizio, in un rapporto che può essere considerato “vivo”, possa aspettarsi di ricevere informazioni commerciali su prodotti analoghi a quelli che ha acquistato.
Interessante è comprendere cosa possa essere considerato come prodotto analogo ai sensi della normativa vigente. Ed infatti ci si aspetterebbe un riferimento a classi merceologiche o identiche categorie ed invece, per prodotti analoghi si dovrà far riferimento a tutti i prodotti che possono essere ragionevolmente correlati a quello acquistato.
In sostanza, quindi, all’acquirente di un abito da sera si potranno proporre accessori in target ma non anche accessori sportivi.
Il confine tra spam e soft spam merita particolare attenzione. Emerge chiaramente l’intento generale di lotta allo spam, ma senza che le operazioni commerciali ne risultino totalmente soffocate. Riscontriamo sanzioni importanti, anche quando nelle attività di marketing il titolare del trattamento agisca con l’ausilio di responsabili del trattamento e sub-responsabili in quanto deve comunque sussistere, in capo al titolare del trattamento, un obbligo di vigilanza rispetto alla corretta espletazione dell’attività, come si evince dall’ordinanza di ingiunzione del Garante del 25/11/2021, Registro dei provvedimenti n. 413.
Il soft spam rientra, quindi, nella categoria delle campagne di marketing definite “amiche” di utenti e consumatori dal Garante, nell’introduzione delle linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam, proprio in relazione alla ragionevolezza dell’invio di dem da un lato e alle legittime aspettative dell’interessato dall’altro.. Già nel vademecum sui comportamenti da tenere per il contrasto allo spam diffuso nel 2013 (in attesa dell’attuazione del GDPR avvenuta nel 2018), il Garante sottolineava che “non si può parlare di spam se il contatto è stato raccolto con il consenso del destinatario o secondo le modalità previste dalla legge”, con riferimento implicito, di nuovo, all’eccezione prevista dal comma 4.
In Europa la disciplina relativa allo spam è sempre stata particolarmente severa e dunque mentre negli Stati Uniti le e-mail per fini commerciali devono necessariamente contenere il link per l’esercizio dell’opt-out come unico requisito per l’esercizio di marketing diretto, in Europa risulta obbligatorio l’opt-in (l’esplicito consenso), fatto salvo proprio il soft spam.
In conclusione possiamo notare come, in Italia in particolare rispetto agli altri Paesi europei, grazie alle interpretazioni del Garante risulti particolarmente tutelato il diritto imprenditoriale ad effettuare soft spam a fini commerciali (in Germania ed Austria ci sono criteri più restrittivi rispetto all’acquisizione degli indirizzi e-mail, ad esempio).
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