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Il cigno nero.

L’evento negativo, il cui verificarsi è ritenuto impossibile, che diventa realtà, il “black swan”, ben descritto da Nassim Taleb nel 2007. Quando il cigno nero arriva, scombina tutti i piani e le previsioni. Un evento talmente potente da rendere vulnerabile anche la più solida delle imprese.

C’è un solo modo per difendersi: l’analisi dei rischi.

Qualsiasi sia la dimensione, qualsiasi sia il settore economico, qualsiasi sia l’area geografica in cui l’impresa opera, la realizzazione di un profitto è correlata ad un certo grado di rischio. Il rischio è l’elemento naturale nell’attività d’impresa.

Specialmente nell’ultimo ventennio, la forte evoluzione e la volatilità dei mercati e la notevole azione esercitata dall’ambiente economico e sociale sulle dinamiche imprenditoriali, hanno moltiplicato i rischi cui sono sottoposti le imprese.

Di condizioni di rischio, relativamente all’attività imprenditoriale, se ne inizia a discutere agli inizi del ‘900; tuttavia, la piena consapevolezza della condizione di rischio in cui versano le imprese, si ha a partire dal 1992. È negli USA che si inizia a parlare di Risk Management e, come di solito, per averne percezione in Europa trascorrono circa 10 anni. Infatti, proprio nel 1992, il Committee of Sponsoring Organizations (COSO), elabora le linee guida in materia di controllo del rischio; dobbiamo aspettare, invece, il 2003 affinché la Federation of European Risk Management Association (FERMA) ne segua le orme.

Tralasciando le innumerevoli definizioni di rischio elaborate dalla letteratura scientifica fin dai primi del ‘900 del secolo scorso, che occuperebbero un’intera pubblicazione scientifica, possiamo, invece, qualificare le tipologie di rischio secondo il differente approccio metodologico-scientifico. Tra i tanti, la dottrina ne considera tre principali [1]:

  • Tradizionale-assicurativo, con il quale, il rischio viene rilevato come un insieme di potenziali minacce. Da questo tipo di approccio ne consegue che si possono verificare due scenari:
    • Alta probabilità di avverarsi legato ad un effetto economico limitato sull’impresa.
    • Bassa probabilità di avverarsi, con conseguenze economiche importanti sull’azienda.

È, questo, un approccio che considera il rischio esclusivamente come potenziale minaccia.

  • Approccio statistico. Il rischio è inteso come variabile aleatoria; si formula un’aspettativa e si stima il possibile scostamento rispetto ad essa.
  • Approccio manageriale. Il rischio è considerato come una potenziale variazione rispetto ad un obiettivo precedentemente fissato [2]. Questo approccio è molto simile al precedente, con una differenza sostanziale; con l’approccio statistico viene considerato lo scostamento rispetto ad un valore, invece l’approccio manageriale, considera uno scostamento rispetto ad un obiettivo, che può anche non essere un valore numericamente identificato.

Qual è l’approccio più corretto con cui affrontare i rischi aziendali? Ognuno dei tre criteri ha vantaggi e svantaggi, il modo giusto di operare è valutare il metodo che minimizza i punti deboli e accresce i vantaggi.

Con il primo tipo di approccio, considerando i rischi esclusivamente come minacce, si corre il pericolo di non tenere in debito conto gli accadimenti di carattere positivo. È notorio, invece, che un’analisi di scenario debba considerare tutti gli elementi che possono influire sullo scenario stesso.

Con le altre due tipologie di metodo, a differenza del primo, vengono osservati anche i fenomeni che possono avere effetti positivi. Tuttavia, l’approccio manageriale, ragionando in termini di obiettivi e non di valori numerari assoluti, è più flessibile rispetto a quello statistico.

È chiaro, a questo punto, che i rischi che impattano sull’impresa derivano da fattori esterni o interni ad essa. I primi, riguardano l’ambiente economico, tecnologico, sociale, politico, legale e ambientale. I fattori interni sono relativi alla organizzazione, alla governance alle risorse, ai processi, alla propria cultura e ai comportamenti delle persone che ne fanno parte [3].

Dopo questa disamina generale sui sistemi di rischio aziendale, entriamo nel dettaglio e analizziamo i diversi tipi di rischio che influenzano le dinamiche aziendali.

  • Rischi legati al mercato, a loro volta distinti in:
    • Rischio di prezzo. È l’influenza (negativa, ma anche positiva) che hanno le variazioni di prezzo nei mercati delle materie prime utilizzate nel processo produttivo. Ciò comporta un effetto negativo sulla redditività aziendale se non si riesce, per tempo, a trasferire gli aumenti sul prezzo di vendita.
    • Rischio di cambio. È relativo alla possibilità che variazioni nei tassi di cambio possono causare alle dinamiche aziendali. È, ovviamente, una categoria di rischio che riguarda le imprese che operano prevalentemente con l’estero, sia lato acquisto sia lato vendite. Per mitigare questo tipo di rischio le imprese, in particolare quelle strutturate, usano coprire le oscillazioni di cambio attraverso la stipula di appositi contratti “hedging”.
    • Rischio di interesse. Incide sulla redditività dell’impresa quando il valore di mercato di un eventuale investimento detenuto dalla stessa è sensibile alle variazioni dei tassi d’interesse. Da un aumento o una riduzione dei tassi ne consegue una riduzione o un aumento del valore di mercato di un titolo; a secondo della struttura patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ciò potrebbe avere effetti più o meno evidenti.
  • Il rischio di credito. È la probabilità che una delle parti non rispetti l’obbligazione finanziaria contenuta in un determinato contratto. Da ciò ne deriva, potenzialmente, una perdita per la controparte. Esempio di rischio di credito può essere il manifestarsi dello status di crisi o di insolvenza di un cliente. Questo rischio può essere mitigato con la stipula di apposite polizze assicurative o, per le imprese più strutturate, con la stipula di contratti derivati. Tuttavia, il deterioramento delle condizioni economico-finanziarie di un cliente comporta non soltanto il pericolo del mancato incasso del credito di una determinata fornitura ma, anche e soprattutto, il riflesso sulla economicità aziendale, dovuta al non poter più fornire con continuità quel dato cliente.

Il rischio di credito, usualmente, viene catalogato in:

  1. Rischio paese. Causato da condizioni dovute a dinamiche, ambientali o politiche, inerenti al paese del nostro cliente. È un esempio eclatante l’attuale situazione di guerra tra Russia e Ucraina, è ben evidente che le imprese che hanno esportato verso questi paesi, allo stato attuale dei fatti, corrono un grosso rischio di non riuscire ad incassare quanto loro dovuto.
  2. Rischio di regolamento. È il rischio che una controparte non adempia ai propri impegni in fase di regolamento delle partite creditorie/debitorie.
  3. Rischio controparte. Dovuto alle condizioni economico-finanziarie del cliente, il deterioramento delle quali può comportare la mancata obbligazione finanziaria assunta nei confronti del fornitore.
  • Rischio liquidità. Si tratta del rischio in cui si troverebbe l’impresa nel caso in cui non dovesse avere la liquidità necessaria per saldare gli impegni a scadenza. Ciò potrebbe comportare la necessità di accedere a debiti finanziari, con evidenti incrementi di costi per oneri finanziari. Questo rischio potrebbe essere a basso impatto nel caso di tassi di interesse livellati verso il basso, come in questo periodo. Ma, al contrario, impattare in modo significante nel caso di tassi di interesse elevati, ad esempio, in Russia il tasso di interesse è schizzato, da un giorno all’altro, al 20%.

Ovviamente anche in questo caso ci sono contromisure idonee a mitigare questo rischio. In primo luogo, rispettare una delle regole fondamentali della finanza aziendale: l’equilibrio Fonti/Impieghi. Spesso trascurato dagli imprenditori, per ignoranza in materia o per scarso monitoraggio delle dinamiche aziendali (Pianificazione e Controllo di Gestione), il corretto equilibrio tra le fonti di finanziamento ed il capitale investito può, da solo, azzerare il rischio di liquidità. La regola fondamentale è: finanziare attività che producono reddito a breve termine con fonti di finanziamento a breve termine. Allo stesso modo, gli investimenti di medio/lungo termine vanno finanziati con fonti a scadenza pluriennale o con capitale di rischio.

A scanso di equivoci, però, si aggiunga che il problema di liquidità potrebbe verificarsi anche per altre cause non strettamente legate all’equilibrio delle fonti ma, ad esempio, per imprevisti nella gestione, come un ritardo nell’incasso di qualche fornitura. Proprio per questo motivo è fondamentale, per tutte le imprese, grandi e piccole, un corretto approccio alla tesoreria aziendale, con l’elaborazione di un prospetto dei cash flow annuali e un’attenta pianificazione della liquidità, con la costruzione di un solido budget di tesoreria. Ciò consentirà di tenere conto di eventuali imprevisti e riservare un supplemento di liquidità per affrontarli senza causare problemi alla normale gestione aziendale.

  • Rischio strategico. È relativo agli effetti derivanti dalle decisioni interne all’azienda ma, principalmente, dall’ambiente esterno, sulle strategie aziendali. Entrare in un nuovo mercato, abbandonare una tecnologia, sviluppare un nuovo prodotto, sono decisioni strategiche che possono determinare il successo o il tracollo di una impresa. Ma, in quanto decisioni interne all’impresa sono, in una certa misura, governabili. Mentre le influenze esterne, quali l’andamento dell’economia, l’innovazione tecnologica, le decisioni politiche, sono variabili che non dipendono dalle decisioni del management. Pertanto, nella definizione di un piano strategico è necessario tenere conto di queste variabili che possono causare minacce o, al contrario, opportunità; questa attività viene svolta per mezzo di modelli e tecniche di risk management, una delle quali è l’analisi SWOT.
  • Rischio operativo. I rischi operativi sono relativi alla gestione caratteristica dell’impresa. Non possono essere precisamente definiti, in quanto il numero di variabili è infinito e le loro caratteristiche, considerata la numerosità delle attività economiche, molto disomogenee. Ci limitiamo in questa sede a elencare solo i principali:
    • Rischi legati ai processi aziendali, quali il processo produttivo o la catena del valore.
    • Rischi legati alla reputation e all’immagine dell’impresa.
    • Rischi relativi alle risorse umane, quali la regolamentazione di diritti dei lavoratori, o la sicurezza sul posto di lavoro.
    • Rischio di prezzo riguardante i prodotti dell’impresa o i costi di acquisizione dei fattori produttivi che non sono commodities.
    • Rischi relativi alle procedure aziendali quali, ad esempio, quelli che possono essere causati dal mancato rispetto delle procedure. Ad esempio, dal mancato rispetto delle procedure relative alla qualità dei prodotti, ne può derivare un lotto di prodotti difettosi che non potranno essere commercializzati, con evidenti riflessi sul conto economico.
  • Rischi emergenti. L’evoluzione dell’ambiente economico e sociale, fa nascere ogni giorno una moltitudine di rischi cui sono sottoposte le imprese. Rischi difficilmente classificabili, perché emergenti e non esistenti nel passato, come ad esempio, la de-globalizzazione o i rischi relativi all’intelligenza artificiale e ai big data.

Per cercare di mitigare l’impatto sulle imprese, istituti di ricerca specializzati, periodicamente, pubblicano delle ricerche su queste tipologie di rischi. Tra gli altri citiamo, ad esempio, il rapporto AXA-Eurasia Group che, nell’ultimo rapporto pubblicato a fine 2021, individua i seguenti 10 rischi emergenti: Cambiamento climatico, Rischi legati alla cyber-sicurezza, Pandemie, Instabilità geopolitica, Malcontento locale e conflitti locali, Rischi legati alle risorse naturali e alla biodiversità, Terrorismo e nuove minacce alla sicurezza, Instabilità finanziaria, Rischi macroeconomici, Rischi collegati all’intelligenza artificiale e ai big data.

Tra le altre ricerche sui rischi emergenti, il rapporto SACE gruppo cdp, l’Allianz Risk Barometer, il SONAR Report, sono i più noti, ma ne esistono tanti altri per ogni area geografica.

Come si affrontano i rischi aziendali?

Predisponendo un piano di emergenza.

Erano gli anni 70, la prima crisi petrolifera aveva appena sconvolto i mercati mondiali e sulla rivista Long Range Planning, a firma di Michael Clay, si parlava di Contingency Plan. il Piano di Emergenza.

Il piano di emergenza, a differenza del business plan, non deve essere definito nei minimi particolari, deve essere più che altro, una guida per non essere colti di sorpresa nel caso in cui si verifichi l’evento critico. Vediamo, in pochi passi, come si realizza un piano di emergenza.

  • La prima cosa da fare è identificare i rischi potenziali e farne un elenco. Una delle tecniche più utilizzate è quella di predisporre delle riunioni di brain storming, coinvolgendo i responsabili delle diverse funzioni aziendali, per identificare i rischi potenziali.
  • Ad ogni rischio va assegnata una probabilità di avverarsi e un livello di impatto sulle dinamiche aziendali; la scala deve essere molto corta, da 1 a 3 o bassa, media, alta.
  • Identificazione dei rischi che necessitano di un piano di emergenza. Sulla base dei due punti precedenti si realizza una matrice di rischio, come quella della grafica seguente. I rischi che vengono classificati nei quadranti in alto a destra sono quelli che necessitano della costruzione di un piano di emergenza.
  • Costruzione del piano di emergenza. Il piano di emergenza deve contenere almeno i seguenti elementi:
    • l’evento che dà il via al piano;
    • le azioni da porre in atto nell’immediatezza;
    • l’identificazione delle persone che devono attuare il piano;
    • l’identificazione delle persone che devono essere informate del piano;
    • l’identificazione delle persone che devono supervisionare il piano;
    • la scaletta delle azioni porre in atto dopo la fase iniziale.
  • Approvazione del piano da parte del Top Management.
  • Condivisione del piano di emergenza. Il P.d.E. deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, in maniera tale che al verificarsi dell’evento tutti sappiamo come agire.
  • Monitoraggio del piano di emergenza. Periodicamente il P.d.E. deve essere revisionato, per aggiungere i rischi emergenti ed eliminare i rischi che si giudicano non aver più impatto sulla gestione aziendale.

In conclusione, da quanto sopra esposto, si può comprendere l’importanza dell’analisi e previsione dei rischi aziendali, specialmente nel contesto pandemico e di crisi politica internazionale dei giorni nostri. Una corretta analisi dei rischi e una conseguente pianificazione di emergenza possono evitare di trovarsi a gestire un evento critico in maniera caotica ed impreparata. Tuttavia, i vantaggi derivanti da questo strumento sono più percepiti dalle grandi imprese, rispetto alle PMI le quali, limitate dalla scarsità di risorse economiche ed umane, sottovalutano l’importanza fondamentale di una corretta gestione dei rischi potenziali.

È auspicabile una corretta formazione/informazione, in special modo nei confronti delle Micro e Piccole imprese, per farle prendere consapevolezza dell’importanza degli strumenti di gestione del rischio e della convenienza e dei vantaggi che ne conseguono ad implementare un sistema di Enterprise Risk Management.

Dott. Giovanni Carlo Coppola

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[1] Floreani, Introduzione al Risk Management, 2005
[2] Price Waterhouse & Coopers (2006) “i rischi sono eventi futuri ed incerti che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi strategici, operativi e finanziari di un’istituzione”
[3] (Selleri, 2006)

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