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Il contraddittorio nel “nuovo” procedimento di rilascio delle informazioni antimafia.

Il contraddittorio nel “nuovo” procedimento di rilascio delle informazioni antimafia.

Per contrastare la presenza delle organizzazioni criminali nelle attività economiche, il Codice Antimafia ha delineato un complesso modello procedimentale in virtù del quale le pubbliche amministrazioni, prima di:

  • a) stipulare, approvare od autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici di valore superiore ad € 150.000;
  • b) rilasciare una serie provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo;
  • c) concedere contributi, finanziamenti e mutui agevolati;
  • d) concedere terreni agricoli e zootecnici demaniali;

devono rivolgersi all’Autorità prefettizia al fine di ottenere un provvedimento che attesti l’inesistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto conseguenti alla condanna per determinati reati o all’applicazione di una misura di prevenzione personale ovvero che escluda la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese interessate.

In particolare, la documentazione antimafia è costituta dalla comunicazione e dall’informazione.

La comunicazione antimafia ha natura certificativa, in quanto consiste nella riproduzione delle risultanze della Banca dati nazionale unica per la documentazione antimafia (BDNA), appositamente istituita presso il Ministero dell’Interno, dove sono annotati tutti i provvedimenti che danno luogo alle suindicate cause di decadenza, sospensione e divieto.

L’informazione antimafia ha invece una portata più ampia, in quanto oltre ai dati emersi dalla consultazione della BNDA, contiene anche l’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizione le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate.

Pertanto, l’informazione antimafia ha un contenuto in parte “vincolato”, che coincide con quello della comunicazione, ed in parte “discrezionale”, laddove contiene le valutazioni dell’organo prefettizio in ordine alla individuazione degli elementi sintomatici di un probabile tentativo di infiltrazione mafiosa.

La documentazione antimafia può essere liberatoria, quando dalla banca dati non emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto e gli accertamenti effettuati dalla prefettura non evidenziano la presenza di tentativi di infiltrazione, oppure interdittiva.

In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa, ai fini dell’emissione dell’informazione interdittiva, non è necessario che il Prefetto accerti l’effettiva esistenza di tentativi di infiltrazione o di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, essendo infatti sufficiente che il “pericolo” di tali tentativi appaia “più probabile che non”.

In tale prospettiva, in aggiunta ai casi già espressamente indicati dalla legge (coinvolgimento in procedimenti penali per i c.d. delitti spia, sottoposizione al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, omessa denuncia dei reati di concussione ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, ecc.) il Consiglio di Stato, con l’avallo della Corte Costituzionale, ha elaborato un elenco di situazioni sintomatiche da cui l’autorità prefettizia può desumere la probabile sussistenza di tale pericolo di infiltrazione (c.d. interdittiva generica).

Di conseguenza, possono essere considerati indizi di un possibile condizionamento: i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa.

L’analisi dei dati forniti dal Ministero dell’Interno (relativi al periodo compreso tra il gennaio 2016 e il giugno 2022) consente di apprezzare come si sia registrato un progressivo incremento, oltre che delle imprese interessate da una richiesta di documentazione antimafia, del numero di comunicazioni e informazioni interdittive

Infatti, nell’arco degli ultimi 6 anni, il totale dei provvedimenti interdittivi è quasi triplicato, passando dai 733 del 2016 ai 2078 del 2021.

Invece, i dati relativi al primo semestre del 2022 evidenziano una rilevante diminuzione delle informazioni interdittive.

Molto probabilmente, questo dato è influenzato delle modifiche all’art. 92 del Codice antimafia – che disciplina appunto il procedimento di rilascio delle informazioni – introdotte dal D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233.

Invero, con una innovazione molto auspicata dagli esperti, il legislatore ha previsto che, salvo che sussistano particolari esigenze di celerità del procedimento, l’Autorità prefettizia procedente è tenuta a dare una tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione.

Per ovvie ragioni, tuttavia, non possono formare oggetto della comunicazione elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose.

Che la modifica dell’art. 92 del Codice Antimafia abbia profondamento inciso sul modello procedurale in esame, con l’attribuzione di una importanza fondamentale alla fase del contraddittorio, è stato recentemente rimarcato dalla magistratura amministrativa, che ha annullato una interdittiva emessa senza la comunicazione preventiva al soggetto interessato sul presupposto dell’esistenza di esigenze di particolare celerità.

I giudici hanno infatti osservato che l’informazione interdittiva viene emessa solo allorché, all’esito dell’attività istruttoria, il Prefetto scorga profili di possibile condizionamento mafioso dell’operatore economico, sicché, se tale dato giustificasse da solo l’omissione delle garanzie partecipative, verrebbe vanificato l’intento che ha animato la modifica normativa. Nella stessa decisione è stato anche puntualizzato come, con il medesimo intervento di riforma, il legislatore ha diversificato le misure amministrative di prevenzione antimafia utilizzabili da parte del Prefetto, sicché l’amministrazione ha anche l’onere di motivare sull’impossibilità di neutralizzare il rischio di infiltrazione mafiosa attraverso le misure di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis del Codice Antimafia (Tar Catanzaro, Sez. I, 14.09.2022 n. 1518).

Considerato che il rilascio di una informazione interdittiva può provocare danni irreversibili, poiché le conseguenze giuridiche che ne derivano non si limitano al solo divieto di stipulare contratti con la pubblica amministrazione (con risoluzione di quelli eventualmente già in corso) e di ottenere licenze ed autorizzazioni amministrative (con decadenza di quelle già rilasciate) ma, addirittura, comportano l’impossibilità di ricevere pagamenti di qualunque genere dalla P.A., anche se derivanti da sentenze passate in giudicato, è indispensabile che un operatore che riceva una comunicazione preventiva di cui all’art. 92 del codice antimafia utilizzi al meglio la fase del contraddittorio, facendosi assistere da un esperto che sia in grado di mettere in campo ogni opportuno strumento difensivo (accesso agli atti, osservazioni scritte, produzione di documenti, ecc.) già in un momento antecedente all’emissione del provvedimento prefettizio.

Avv. Pasquale SimariAvv. Ettore Tigani

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