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USUCAPIONE IN MEDIAZIONE: ATTENZIONE ALLE NULLITA’!

Usucapione in mediazione: attenzione alle nullità!

Usucapione in mediazione: attenzione alle nullità!

L’usucapione è un istituto giuridico antichissimo.

Esso ha da sempre avuto grande diffusione nei contesti agricoli, poiché consentiva ai vecchi coloni di acquisire – dopo anni di lavoro – piccoli appezzamenti di terreno, a seguito del disinteresse mostrato da quelli che nella bassa Calabria venivano chiamati gli “gnuri” (i signori), o meglio dai loro eredi.

In termini generali e del tutto approssimativi, l’usucapione consente a chi possiede un bene per un determinato periodo di tempo (solitamente venti anni) e si comporta da relativo proprietario – curandolo, percependone i frutti naturali e civili, adempiendo agli oneri anche tributari che dallo stesso derivano – di diventarne l’effettivo proprietario.

Si tratta, quindi, di un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, poiché non determina il trasferimento del diritto da un soggetto a un altro (come avviene per es. nella compravendita o nella donazione), ma comporta la nascita di un diritto nuovo, in conseguenza del possesso – inteso come potere di fatto sulla cosa – che deve essere: 1) pubblico (non clandestino); 2) pacifico (non violento); 3) continuato (non occasionale); 4) ininterrotto (non intervallato da perdite di possesso o rivendicazioni da parte del legittimo proprietario).

È il possesso che determina l’acquisto del diritto, con la conseguenza che il possessore (c.d. usucapente) potrà chiedere al giudice di accertare l’avvenuta usucapione del bene e la conseguente estinzione del diritto che faceva capo all’intestatario formale (c.d. usucapito).

A tal fine è necessario verificare che l’usucapente abbia posto in essere per l’arco temporale stabilito dalla legge un possesso “uti dominus”, cioè parificabile al possesso del proprietario. Ciò sarà configurabile soltanto in presenza di specifici comportamenti che presuppongono la volontà e la capacità giuridica di godere e disporre personalmente del bene, escludendo ogni altro diritto facente capo a terzi.

Negli ultimi anni l’istituto dell’usucapione ha acquisito nuova linfa vitale, grazie ad alcune norme contenute nel D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, seguito dal c.d. “Decreto del Fare” del 2013.

Con tali interventi normativi, il legislatore ha, tra l’altro:

  1. a) introdotto la possibilità di trascrivere gli «accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» (art. 2643 n. 12-bis c.c.);
  2. b) incentivato il ricorso alla mediazione (come strumento di risoluzione delle controversie alternativo al giudizio ordinario), prevedendo che «il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente» (art. 17, comma 3, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28).

Il tal modo l’usucapione, da istituto arcaico e di marginale applicazione, si è trasformato in uno strumento di grande popolarità, al quale si fa talvolta ricorso pur in assenza dei relativi presupposti giuridici, poiché inteso da molti come infallibile soluzione alle proprie esigenze patrimoniali.

È davvero cosí? Purtroppo no! Vediamo perché.

La mediazione è caratterizzata dalla ricerca di un accordo che consenta di superare il conflitto tra due o più soggetti, evitando di dover rimettere al giudice la decisione che attribuisca ragione all’uno e torto all’altro e altresì evitando di dover incorrere nelle lungaggini (ben note!) del nostro sistema giudiziario, attraverso l’adozione di una soluzione stragiudiziale che componga gli interessi in concorso.

Con specifico riguardo all’usucapione, la mediazione consente di superare il contrasto dei diritti facenti capo all’usucapente e all’usucapito, senza dovere attendere l’accertamento da parte del giudice dell’avvenuto acquisto a titolo originario: è l’intestatario formale del bene a riconoscere che la controparte lo ha posseduto “uti dominus” per oltre venti anni e pertanto ad accertare, in via convenzionale, l’intervenuta usucapione.

È del tutto evidente che si tratta di uno strumento di notevole importanza e utilità, che coinvolge tutti i soggetti che possano potenzialmente vantare diritti reali sul bene e che consente di bypassare gli annosi procedimenti giudiziari, addivenendo a una rapida ed efficace conclusione della vicenda, specie in presenza di un approccio collaborativo da parte del soggetto usucapito.

È però anche evidente che l’acquisto a titolo di usucapione, sia esso accertato dal giudice oppure accertato convenzionalmente dalle parti interessate, deve essere realmente preceduto dal verificarsi di tutti gli elementi previsti obbligatoriamente dalla legge per il suo maturare, vale a dire deve essere realmente preceduto da un possesso ventennale “uti dominus”, nei termini e alle condizioni che abbiamo sopra sintetizzato.

Ebbene, cosa accade se si conclude in mediazione un accordo di accertamento di avvenuta usucapione senza che ricorrano i presupposti per il maturare della stessa, cioè in assenza di un effettivo possesso ventennale “uti dominus” da parte del sedicente usucapente?

I soggetti potenzialmente pregiudicati dall’accordo (per es. i legittimari lesi ovvero i creditori dell’usucapito rimasti insoddisfatti) potranno agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

In particolare – applicando i principi generali in materia contrattuale – l’accordo potrebbe essere impugnato per simulazione da chiunque vi abbia interesse oppure potrebbe essere dichiarato nullo per mancanza di causa, in quanto finalizzato ad accertare una situazione giuridica in realtà inesistente, con conseguente vanificazione degli effetti che si intendevano conseguire con la sottoscrizione dell’atto viziato.

Si pensi all’ipotesi di “accertamento convenzionale dell’usucapione” in favore di un soggetto che abbia un’età tale da rendere inimmaginabile che abbia personalmente posseduto, gestito, goduto e disposto del bene come se ne fosse il legittimo proprietario, per tutto l’arco temporale richiesto ex lege.

Si pensi all’ipotesi di “accertamento convenzionale dell’usucapione” in presenza di atti giuridici compiuti nell’ultimo ventennio dall’intestatario del bene, i quali contraddicono il dichiarato possesso ininterrotto da parte del sedicente usucapente.

Si pensi ancora all’ipotesi di “accertamento convenzionale dell’usucapione” tra soggetti chiamati all’eredità dell’intestatario del bene, evidentemente finalizzato al solo scopo di eludere la disciplina in tema di imposta di successione.

Questi e tanti altri sono i casi che espongono a un giudizio di invalidità l’accordo di accertamento dell’usucapione e che devono indurre chiunque ne voglia fare ricorso ad affidarsi a professionisti della materia, al fine di evitare che uno strumento introdotto per un nobile scopo si trasformi in un boomerang di danni giuridici.

Notaio Dott.ssa Sonia Tullia Barbaro

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